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L'INTERVISTA - Kaspar Capparoni: tutti possiamo fare qualcosa per combattere il randagismo
di Elisabetta Di Dio Russo

L’abbiamo visto nei panni di un veterinario puntiglioso e coraggioso nel film tv “Al di là del lago” e nelle vesti del commissario Lorenzo Fabbri, nella famosa serie televisiva poliziesca, accanto al detective a quattro zampe Rex. Per Kaspar Capparoni, che pubblica il suo primo libro “Il capobranco”, scritto in coppia con l’inseparabile Liroy (un pastore svizzero di nove anni), pare proprio impensabile una vita senza un amico a quattro zampe, dentro e fuori dal set.

In questa intervista l’attore romano racconta il rapporto speciale con un amico molto speciale, Liroy.

Kaspar Capparoni, da sempre attento e sensibile al problema del randagismo, lancia un monito importante: tutti possiamo fare qualcosa per tutelare i diritti degli animali, perchè la civiltà, nei confronti degli esseri più deboli, parte dall’educazione di tutti.

 

Com’ è nata l’idea di scrivere la sua autobiografia e soprattutto l’idea di scriverla vista attraverso gli occhi di Liroy?

Mi è stato chiesto di scrivere un libro sulla mia vita ed io che non amo molto parlare di me all’inizio ero molto restio. Così ho detto che se mi fosse venuta un’idea forse avrei provato a scrivere questo libro. Un giorno mi è venuta l’idea di far scrivere il libro a Liroy e a quel punto ho detto: ok, ci provo. E’ venuto bene, non è nulla di travolgente però è una cosa carina.

 

Quando è nata l’amicizia con Liroy?

Con Liroy è stato un “amore a prima vista”. Ci siamo scelti e stiamo insieme da nove anni e spero di stare insieme a Liroy il più a lungo possibile, per quello che può permettere la natura.

Diciamo che è stata una simbiosi immediata: io gli ho fatto condividere la mia vita in tutto e per tutto, l’ho portato con me ovunque, sul lavoro, nella mia vita privata. Liroy  è la mia ombra, condivide con me ogni attimo della mia vita, quindi chi meglio di lui poteva raccontarmi, avendo anche un occhio critico e magari anche ironico?

 

Nel libro si racconta la sua vita ma soprattutto la storia di una grande amicizia. Perchè secondo lei certe volte è più facile trovare intesa, affetto, aiuto da parte di un cane o di un gatto ed è più difficile avere lo stesso affetto da una persona?

Lo racconta molto bene nel libro Liroy. Noi uomini siamo fatti con tante sovrastrutture, ci reputiamo più intelligenti ma in realtà siamo solo più complicati e quando si tratta di avere un certo tipo di rapporto ci troviamo in difficoltà, soprattutto con i nostri simili, mentre con gli animali che sono molto più semplici è molto più facile rapportarsi, ci sentiamo più sicuri e meno vulnerabili. Gli animali sono più diretti, più sinceri e meno complicati rispetto gli esseri umani.

 

Siamo in estate e purtroppo insieme al periodo delle vacanze c’è anche quello drammatico degli abbandoni. Malgrado i ripetuti appelli dei mezzi di comunicazione la situazione si ripete ogni anno. Gandhi diceva che “La civiltà di un popolo, di una nazione si misura dal modo in cui tratta gli animali”. E’ d’accordo?

Sì. Per questo siamo ad un pessimo livello!

 

Siamo messi abbastanza male?   

Checchè ne dicano i nostri politici purtroppo siamo molto indietro rispetto la media europea e non è che se il Pil va su o il Pil va giù noi siamo un Paese più o meno civile.

Per essere civili ci vogliono altri tipi di concetti, altri tipi di ragionamenti.

Noi italiani ormai siamo un popolo più o meno di “fregoni”. Le popolazioni socialmente più evolute stanno al nord dell’Europa, dove c’è una cultura molto più radicata per quanto riguarda la civiltà. Noi, da questo punto di vista, siamo un po’ più barbari, legati alle convenzioni e ognuno tende a badare al proprio orticello. Abbiamo una visione meno europea rispetto gli altri Paesi e purtroppo la riversiamo in tutto, nel rapporto con i nostri animali, con i nostri simili, nel mondo del lavoro, nel mondo della cultura.

Il randagismo in Europa esiste solamente in Italia e per sconfiggere questo problema dovremmo allinearci con gli altri Paesi Europei, utilizzando gli stessi mezzi che sono stati utilizzati all’estero.

 

Parte dei proventi del libro saranno devoluti alla Lega Nazionale per la Difesa del Cane. Secondo lei quanto può fare il mondo dello spettacolo per tutelare i diritti degli animali?

Io non so cosa può fare il mondo dello spettacolo per tutelare i diritti degli animali, però so cosa possiamo fare tutti quanti noi. Se noi pensiamo che ci sia sempre qualcuno che possa fare qualcosa per noi, allora siamo “fregati”! Dobbiamo noi fare qualcosa, innanzitutto per noi stessi, poi per la nostra comunità, la nostra educazione, la nostra civiltà. Se noi continuiamo ad avere sempre l’idea del sostentamento da parte di qualcuno pensando che i problemi li risolvano altri al posto nostro non riusciremo mai a risolvere nulla.

Quando vedi in televisione un attore o un personaggio dello sport che si mette a fare propaganda  per una buona causa è e rimane legata a quel momento, a quella causa e finisce lì. Secondo me è importante una buona educazione civica che deve nascere dalla famiglia, dalla scuola, dal nostro quotidiano ma vedo che anche lo Stato, da questo punto di vista, è latente.  Spesso i problemi li creano gli uomini, non gli animali: l’esempio pratico è quando un bambino tenta di avvicinarsi ad un cane  e subito c’è la voce di qualcuno che dice “no, no, no che ti morde!”. E’ chiaro che il messaggio non è positivo!

 

E’ un problema di cultura?

L’italia culturalmente è rimasta all’età della pietra dal punto di vista della civiltà.

Se pensiamo all’arte noi stiamo vivendo di rendita, ma non siamo più capaci di “creare”.

L’arte non è il terzo occhio, l’arte è l’anima che ti sta all’interno, che ti muove, che ti fa dire qualcosa.

Io da questo punto di vista sono un estremista, sono contro le sovvenzioni di ogni genere perchè la cultura non si può vendere un tanto al chilo.

Grazie a Dio non era Michelangelo che andava dal politico dell’epoca e diceva ”Senta me fa lavorà per cortesia  che ho famiglia. Se me fa lavorà le do una percentuale”. Non funzionava così.  Era Michelangelo ad essere chiamato dal politico il quale chiedeva  “Maestro potrebbe fare una creazione per me?”

Non era Michelangelo che si presentava ai potenti e diceva “Mo vojo fa la cultura. Quanto me date?”

E’ il concetto di cultura che è sbagliato in Italia.

 

Progetti futuri? La rivedremo ancora nell’inconsueta veste di scrittore?

Non so. Cose da raccontare ne ho tante ma come le ho detto sono dell’idea che debba sempre essere l’artista ad essere chiamato e non il contrario perchè ci deve essere qualcuno che crede in te per poterti valorizzare, come è accaduto per questo libro. Comunque, ripeto, ho diverse idee. Vedremo.

 

E per la tv?

Sto girando per Canale 5 due puntate di “Al di là del lago”, il seguito di un film tv che è andato molto bene. Ho dei progetti con la Rai ed una scrittura mia a cui sto lavorando.

 

E il teatro?

Devo trovare qualcuno che mi faccia venire la voglia di fare questo grande sacrificio, oltre ad essere una grande passione.

Il teatro vive attraverso gli autori che oggi mancano: senza gli autori il teatro è morto.

Oggi esiste il teatro di repertorio, ma solo quello e secondo me non basta un palcoscenico, dei bravi attori per fare teatro.

Il teatro è vita, è un’esplosione di energie, di talenti, di invenzioni e di tante altre cose e quando manca questo... Ci vogliono le anime che lo muovono, gli autori.

Se pensiamo che uno degli ultimi grandi autori del nostro tempo è stato Giuseppe Patroni Griffi, siamo davvero messi male!

 

 

(Luglio 2010)