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L'INTERVISTA - Gianluca Arrighi: "Uno scrittore a tinte noir"
di Elisabetta Di Dio Russo

Quando una professione diventa "passione" non solo si riesce ad eseguirla nel migliore dei modi ma può dar vita anche ad altre passioni.

E' il caso di Gianluca Arrighi, avvocato penalista di successo e scrittore di romanzi noir. Arrighi attinge le trame dei suoi racconti da fatti realmente accaduti, avvantaggiato dal suo modo di scrivere fluido ed avvincente. Il grande pubblico lo ha apprezzato in "Crimina romana" (ed. Gaffi) e "Vincolo di sangue" (Baldini & Castoldi), rimasto per sei mesi nella classifica dei libri più venduti.

In questa intervista l'avvocato romano racconta il suo amore per la città dove è nato (dove sono ambientate quasi tutte le sue storie) e spiega come nascono i suoi romanzi, che hanno sempre un risvolto psicologico molto forte perché, dietro ogni crimine, vi è sempre una trama oscura che va analizzata con attenzione.

 

 

Come coniuga la professione di avvocato e quella di scrittore?

Tutto ciò che scrivo è intimamente ed inscindibilmente collegato al mio lavoro. E’ proprio questo che rende conciliabili le due cose. Come dico sempre, l’Arrighi scrittore non potrebbe esistere senza l’Arrighi avvocato e viceversa. Ormai, dopo oltre dieci anni di professione, nel mio studio ho assunto diverse valide collaboratrici che mi sgravano di molte incombenze. Certo, non posso dedicare alla scrittura tutto il tempo che essa meriterebbe, ma riesco spesso a ritagliarmi dei momenti nel corso della giornata. E poi, c’è sempre la notte…

 

Da dove arriva la sua passione per la scrittura noir?

Arriva da lontano, dalle mie letture giovanili, che spaziavano da Edgar Allan Poe a Georges Simenon, da Giorgio Scerbanenco a James Ellroy.

 

Come nasce un suo racconto?

Occupandomi quotidianamente di processi penali e relazionandomi ogni giorno con la commissione di delitti, posso affermare come la realtà criminale superi la più fervida fantasia. E’ quella la mia fonte di ispirazione. D’un tratto, senza che io l’abbia cercata, la storia entra nella mia mente già pronta per essere raccontata. Tutto ciò che scrivo, sia esso un true crime o una romanzo di fantasia, è sempre collegato alla mia esperienza professionale nelle aule di tribunale.

 

Perché le sue storie sono quasi sempre ambientate a Roma?

Perché Roma è la città dove sono nato e dove ho sempre vissuto. E’ una metropoli maestosa, piena di fascino, di atmosfere, di colori, di sapori. Con i suoi vicoli, le sue chiese, le sue basiliche e i suoi palazzi storici, ma anche con le sue sterminate periferie e borgate, ritengo sia la città ideale per l’ambientazione di un romanzo noir.

 

Il suo primo romanzo, "Crimina romana",  è stato adottato da alcuni licei come libro di narrativa ed educazione alla legalità. Lei stesso ha tenuto una serie di lezioni nelle scuole superiori insieme ad alcuni esponenti delle forze dell'ordine. Come sono state accolte dagli studenti queste lezioni?

“Crimina romana” piacque molto all’allora presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti che, insieme ad alcuni assessori, decise di adottarlo nei licei come testo di narrativa e di educazione alla legalità. Presentammo il libro nelle scuole superiori, dove io tenni alcune conferenze di cui conservo ancora un bellissimo ricordo. Ad ogni incontro le aule magne dei vari istituti erano colme di studenti tra i sedici e i diciotto anni, assetati di giustizia e pieni di domande alle quali cercavano risposte.

 

Nel suo ultimo romanzo, "Vincolo di sangue", lei ha ripercorso la storia di un crimine tremendo, quello di una madre che ha ucciso la figlia per gelosia. Cosa l'ha spinta a parlare di questa storia?

Nell’estate del 1993 l’Italia venne sconvolta dall’omicidio di Maria Concetta Romano, una ragazza diciottenne uccisa dalla madre, Rosalia Quartararo, e poi gettata in un fiume. Secondo gli inquirenti il movente di quell’agghiacciante delitto fu passionale: Rosalia si sarebbe infatti innamorata del fidanzato della giovane figlia e, in preda a un furioso attacco di gelosia, avrebbe eliminato la “rivale” in amore con ferocia inaudita. Rosalia venne condannata all’ergastolo e inserita nei trattati di criminologia tra le assassine più spietate della storia, italiana e non. Tutta la stampa la additò come “mostro”, ma in realtà le cose andarono in modo molto diverso rispetto a quello raccontato per settimane da tv e giornali. La Quartararo, che io ho assistito nella fase esecutiva della condanna al carcere a vita, mi ha autorizzato a scrivere questo romanzo per gridare al mondo la sua verità, in gran parte differente rispetto a quella mediatica che ancora oggi tutti danno per pacificamente acquisita. Nessuna indulgenza per il crimine commesso da Rosalia, ma solo comprensione del fenomeno. Nel processo non venne mai accertata l’esistenza del movente passionale, ma nonostante ciò i media continuarono sempre a sostenere che fu la gelosia ad armare la mano di Rosalia. Quella è oggi la verità distorta che tutti conoscono. Quindi, escluso il movente passionale, mi sono chiesto: cosa porta una madre, del tutto sana di mente, a commettere un gesto simile? In “Vincolo di sangue” ho tentato di dare una risposta, senza mai dimenticare che nel nostro ordinamento la pena deve sempre tendere alla rieducazione del condannato e come una madre assassina muoia comunque anche lei, giorno dopo giorno, straziata dai sensi di colpa. 

 

Nel libro lei punta il dito anche sulla difficile condizione di vita nelle carceri che non sono certo un vanto per il nostro Paese. Qual è secondo lei il problema più grave per una persona che deve affrontare il carcere?

Quando si entra in carcere si perde la speranza. Questo è il grande limite del sistema penitenziario, che svilisce il principio fondamentale della funzione rieducativa della pena così come cristallizzato nella nostra carta costituzionale. Il sistema carcerario è ormai un malato in fase terminale. Il sovraffollamento degli istituti di pena ha da tempo raggiunto livelli allarmanti e costringe i detenuti ad una vita disumana. E’ necessario con estrema urgenza incrementare l’edilizia penitenziaria e dare piena attuazione al piano carceri, che prevede la realizzazione di padiglioni detentivi in ampliamento delle strutture esistenti e la costruzione di nuovi istituti penitenziari. L’alternativa, purtroppo, è quella di un provvedimento di clemenza, come l’amnistia, che tuttavia rappresenterebbe l’ennesima sconfitta per lo Stato italiano.

 

Nuovi progetti editoriali?

Il burrascoso divorzio dal mio precedente editore ha ovviamente allungato i tempi di pubblicazione del nuovo romanzo che, tuttavia, dovrebbe essere in libreria entro la fine del 2013. Credo sia venuto un buon lavoro, ma si sa che ogni scarrafone…

Per il momento posso solo anticipare che sarà un giallo giudiziario e che avrà come protagonista un tormentato pubblico ministero della procura di Roma il quale, in una torrida estate capitolina, si troverà a dover risolvere una serie di sconvolgenti omicidi.

 

Ultima domanda. Mai come in questo periodo si parla tanto di politica e magistratura. Ma secondo lei è così impossibile trovare un punto di incontro tra la politica e la magistratura?

Uno dei principi cardine della nostra Costituzione è quello della separazione dei tre fondamentali poteri dello Stato. Politica e magistratura rappresentano due di questi tre poteri, ossia quello legislativo e quello giudiziario. Ciò significa, senza addentrarsi in tecnicismi difficilmente comprensibili ai non addetti ai lavori, che i magistrati non dovrebbero occuparsi di politica e i politici, come tutti gli altri cittadini, dovrebbero rispettare le sentenze. Tutto qui, non c’è bisogno di nessun punto di incontro.

(Foto di Studiomatica.com)

 

 

www.gianlucaarrighi.it

 

 

 

(Maggio 2013)