“L’altra vita”
di Valter Binaghi
Avevo nel carrello un pacchetto con filetti di sogliola, una busta di patatine novelle surgelate e un bianco friulano DOC, più un cestino di fragole e una vaschetta di gelato alla panna, spingevo quieto la mia cena sulle ruote, dietro al deretano simpatico e debordante di una massaia sulla sessantina. Quando fu il mio turno porsi il bancomat alla cassiera e lei mi affidò la tastiera. Digitai meccanicamente 46792.
Poi mi distrassi un attimo, perchè vidi nel carrello del ragazzo che mi seguiva una confezione di rasoi usa e getta. Ecco cos’ho dimenticato, pensai: e anche il dopobarba.
Quando mi rivolsi nuovamente a lei, la cassiera mi guardava con imbarazzo appena accennato. Aveva il trucco un po’ sfatto, le occhiaie di un turno di lavoro e magari anche figli piccoli, di quelli che non dormono di notte. Labbra ben disegnate.
- Non corrisponde – disse: - Il numero che ha digitato non corrisponde al suo bancomat.
Sono sicuro che accadde in quel momento: la memoria che si protendeva a braccia tese, per afferrare gli antecedenti di quell’atto (che numero ho digitato? se non è il bancomat cos’è? e qual è il giusto codice del bancomat?) la memoria brancicò nel vuoto, e cadde come un passeggiatore incauto in una piscina vuota.
- Signore, si sente bene? -
Aprii il portafoglio. Credette che fosse solo per pagare in contanti (cosa che feci prontamente: avevo due banconote da cinquanta euro) ma in realtà fu soprattutto per rivedermi sui documenti. Improvvisamente non sapevo più chi ero.
Un padre di famiglia, un criminale incallito, un commercialista.
Nè patente nè carta d’identità in tasca. Nemmeno un cellulare.
Si può essere così cretini? dissi tra me e me, un attimo prima di sprofondare nel panico.
Presi il mio carrello e mi trascinai fino al Bar Ristoro del centro commerciale.
Pur essendo interamente al coperto, aveva una tettoia di canne di bambù e tavolini e seggiole di rattan, oltre a vistosi cesti di frutta al banco, che gli davano un’aria vagamente coloniale. Sedetti e ordinai una birra.
La birra mi piace, pensai, questo è sicuro.
- E tu non vieni? -
Tollin, allegro e riccioluto, era l’ultimo della fila a scendere le scale per la pausa pranzo.
Dalla scrivania lui lo guardò con una faccia da pistola scarica, facendo cenno alle scartoffie sul tavolo.
Quello scivolò via, gridandogli dalla tromba delle scale: – Scollati, schiavo –
Lui attese l’assoluto silenzio del deserto bancario, e lasciò morire lo scooter strombazzante in lontananza prima di cliccare sull’icona del programma di posta elettronica. Socchiuse gli occhi e trattenne il respiro, come sempre.
Posta in arrivo (1)
Dio, si, c’era.
Come ogni giorno, un minuto dopo l’inizio della pausa pranzo.
Il messaggio di lei.
Breve, identico. Due secondi per leggerlo, due secondi appena nell’inutile merdaio delle immagini di un’intera mattinata impilate l’una sull’altra come ricevute di un bonifico, due secondi di luce, ma capaci d’illuminare tutto il resto.
E’ per questo che ogni giorno usciva alle sette dal suo bilocale di scapolo, notando una volta su tre che lo zerbino puzzava di piscio di gatto, caffè e giornale per strada e poi navigava nella democratica indifferenza della metropolitana milanese fino alla filiale del Credito, la Sette, in città. Per questo tra poco si sarebbe unito alla rumorosa colazione dei colleghi, giovanotti inutilmente agitati che si scambiavano morsi e stringevano alleanze d’ufficio fingendo di parlare di calcio e di stupide troie in tivu. Per questo avrebbe continuato il suo lavoro, al pomeriggio, e dopo cena finalmente finito di leggere “I Guermantes”, (si era imposto trenta pagine al giorno da molto tempo, resistendo al sonno come un mulo alle intemperie, per migliorare la propria cultura dopo Tolstoj e Tiziano Scarpa in attesa di dichiararsi, e adesso era proprio agli sgoccioli, trenta pagine giuste).
Non sapeva quasi nulla di lei, essendosi concesso finora solo quel contatto rapido ma essenziale, e preferendo figurarsi il resto: l’immaginava fragile e colta, ferita da un amore impossibile a quindici anni, poetessa in segreto.
E segretamente disposta all’amore.
Lui ne era certo.
Da due mesi esatti, gli giungeva ogni giorno alla medesima ora la risposta di lei, alla sua Mail spedita alle 8 e trentuno del mattino esatte: “Buon giorno, signorina Paola”
E alle tredici e trentuno, puntuale: “Buon giorno, caro Pionati”
Cancellò il messaggio e terminò il programma.
Ignorò l’ascensore e scese fischiettando tre piani di scale.
Una massaia peruviana, rotonda e ciondolante come una chioccia, mi passò davanti seguita dai suoi pulcini mori e sorridenti, tre maschi coi capelli corvini a caschetto, uno succhiava un chupa. La vista di quel codazzo mi intenerì, e provai a seguire quel tremito del cuore, se per caso mi portasse a un’immagine remota o recente per riagganciare la mia vita perduta, ma niente di che. Avevo figli? Non mi pareva affatto.
Forse la tenerezza era solo un mio vizio congenito, e quali altri?
Sorvolai planando la folla del centro commerciale, teste pelate di mariti svogliati, mogli assorte nel computo degli sconti, adolescenti che avanzavano trasognati con l’auricolare, gente che appena si sfiora, ognuno protetto dai suoi deodoranti, gente che non si parla.
E’ così che sono io? mi chiesi.
L’onda lunga del bisbiglio mi parve sospesa per un attimo in un silenzio abissale, o forse ero io invisibile a tutti, sottratto all’entropia dell’universo da una bolla di cristallo infrangibile: in quella pausa della vita corrente mi trovai a guardare i miei simili come un entomologo spietatamente classifica coleotteri, e osai domandare a me stesso in quale di tutti quei modi avessi finora sprecato la mia propria esistenza.
- Ma l’avete visto Pionati, stamattina? -
- No, perchè? –
- C’era in ufficio, però! –
- Si che c’era, ma quello è un pezzo d’arredamento, chi se ne accorge. Scusa mi passi il Ketchup? Grazie. Ma perchè t’interessa quello sfigato di Pionati? –
- Ho saputo una cosa che è troppo da ridere. Hai presente la Bolognini, la Paola? –
- Quella delle valute estere? Bella gnocca –
- Appunto. Pionati le manda messaggi –
- Ma no! Ma dai! Quella minchia morta di Pionati? Non ci credo. In tre anni che è qui avrà detto tre parole in tutto, e Saporiti che era con lui alla Cariplo dice che là era la stessa cosa. E adesso si mette a filare la meglio dell’ufficio? L’hai visto tu? –
- Me l’ha detto lei, la Paola. Ieri sera, alla festa di Tarasco. Era un po’ sbronza, ci siamo fatti quattro risate in compagnia e lei ha raccontato la storia. Sono due mesi che le scrive, ogni giorno. “Buongiorno signorina Paola”. -
- E lei? –
- Sta al gioco. “Buon giorno, caro Pionati”. Dice che si diverte un mondo –
- Che troia. –
- Esagerato. Si sa che alle donne piace farsi corteggiare –
- Si ma quel povero scemo non ha speranze. Ma l’avete visto? Si veste come un sagrestano e ha una faccia da beccamorto. Uno così può giusto iscriversi a un club dei cuori solitari e sperare in una vedova sui cinquanta con prole a carico. E poi è proprio scemo se non sa della Bolognini –
- Cos’è che deve sapere? –
- Dai, lo sanno tutti che scopa con Di Palma, il suo caposezione. Fra un po’ si sposano –
Se ne andarono sghignazzando: nè prima nè dopo qualcuno di loro aveva notato il collega seduto al tavolino accanto, parzialmente nascosto dal separé.
Del resto non era lui il pezzo d’arredamento, l’uomo invisibile?
Pionati era rimasto tutto il tempo immobile, coi gomiti poggiati al tavolino, le mani unite, il mento adagiato sulle nocche. Davanti a lui l’insalata niçoise, intatta.
Finalmente riuscii a scuotermi da quel torpore pericoloso (veniva sera, bisognava far qualcosa, subito, ritrovare il mio indirizzo di casa prima di essere costretto a dormire su una panchina) e mi alzai in piedi.
L’affollamento del centro commerciale sembrava diradato, forse perchè si avvicinava l’ora di chiusura. Tra me e l’uscita c’era uno Spizzico con una cameriera in grembiulino rosso a presidiare due file di focacce sgonfie e pizzette scolorite. Poi una Tabaccheria (in quel momento preciso seppi che non fumavo: l’immagine olfattiva del tabacco mi provocò istantanea ripugnanza). Di seguito, incassati nel muro, due box per telefoni pubblici. Ecco, un’idea. Com’era il numero, quello che avevo digitato al Bancomat, risultando un codice errato? Di nuovo, almeno questo, affiorò immediatamente: 46792.
Non era il mio codice bancomat. Forse un numero di telefono?
Frugai nella tasca dei pantaloni, e trovai una moneta da due euro.
Mi diressi verso le cabine.
Sbrigò il lavoro restante senza una parola in più del necessario, come al solito, con quelle movenze tenere e lugubri da uccello trampoliere, e alla chiusura della banca camminò lentamente per tre giri intorno all’isolato prima di prendere la via di casa.
Incontrò un accattone dal braccio morto che gli tese l’altro sano a mano aperta: vi depositò una manciata di spiccioli, augurandogli mentalmente di morire senza più oltre infastidire il prossimo. Il medesimo augurio fece a una coppia di pensionati e a un paio di studentesse sculettanti che uscivano dal Bar Carioca, e a tutti quei volti stanchi e indifferenti che gli passarono davanti in metropolitana.
Perchè non morite, bastardi? Perchè non moriamo tutti quanti, adesso, senza strepito e senza discendenza? Perchè non si chiude una volta per tutte il sipario su questa favola oscena, partorita dalla feroce vena creativa di un annoiato satrapo semita? Perchè non restituiamo a costui il biglietto d’ingresso al baraccone, e al sacrosanto Nulla il suo diritto sempiterno al silenzio? E così via, tra Leopardi e Cioran, rimestando fra le letture inutilmente profonde cui si era prodigato ultimamente, per amore di quella puttana.
Entrò stremato nel suo appartamento per accorgersi che aveva il frigorifero vuoto, tranne una confezione familiare di yogurt scaduto e una ancora chiusa di carote.
Decise che avrebbe solennemente celebrato la propria disperazione con una cenetta fuori dall’ordinario, e poi si sarebbe suicidato, o forse no.
Uscì diretto al supermercato all’angolo, poi cambiò idea e optò per il più fornito centro commerciale, due fermate appena del tram, e questa è veramente l’ultima cosa che ricordo di lui.
46792.
Cinque squilli, prima di udire la voce registrata.
Questa è la segreteria telefonica di Riccardo Pionati. Sono momentaneamente assente. Dopo il segnale lasciate un messaggio o un numero di telefono.
Vi richiamerò appena possibile.
La mia voce.
Che devo dirvi, non mi sono suicidato. Anzi.
La mattina dopo, mentre andavo in ufficio, ho rivisto le stesse facce in strada, al caffè e sul metro, biglie che scivolavano ognuna nel suo solco, vite in discesa, compromesse da un primo tocco fatale e da allora inesorabilmente votate al naturale corso degli eventi, che gli antichi giuravano determinato dagli astri e i moderni dai panni cacati di Edipo.
A meno che qualcosa come un gatto sfuggito alle ruote di un’auto o il pallone di un monello ti capiti tra i piedi, facendoti cascare e interrompendo la tua corsa, e costringendoti a guardare di sotto in su quella caricatura d’esistenza cui sei avvinghiato come un verme alla carogna.
Quella mattina Tarasco, il mio capufficio, mi accolse con la solita maschera di benevolenza sul suo sorriso da iena, porgendomi la solita pila di pratiche da sbrigare, le più ostiche e tediose, quelle che nessuno vuole e si rifilano di norma al solito Pionati, il buon Pionati che esegue presto e bene, e nella commedia umana dell’Agenzia7 recita la parte dell’eroe modesto e generoso, che ama e lavora in silenzio.
“Non credo proprio” gli ho detto.
Ha strabuzzato gli occhi ed è rimasto lì, col fascio di cartelle in braccio, incredulo.
Nell’ufficio si è fatto un gran silenzio, e tutti quanti hanno alzato gli occhi e teso le orecchie per non perdere sillaba nè moto dell’inaudita bufera che sarebbe seguita.
Ma Tarasco mi ha guardato negli occhi e deve averci visto qualcosa che l’ha trattenuto dall’alzare i toni: “Come crede” ha detto freddamente, ed è tornato alla sua scrivania.
Mentre raccoglievo dai cassetti le mie poche cose, l’ho sentito che borbottava qualcosa al direttore del personale, ma tutto questo ormai non mi riguarda più.
Se la tua parte in questo mondo non ti piace, è inutile sbattere i piedi e bestemmiare l’Arconte. Se la tua parte è diventata una condanna, smetti di fare l’attore.
Ho intrapreso la carriera del regista. Un B movie, magari, ma tutto mio.
Forse a voi interessano maggiori garanzie sul futuro, come dire la pensione integrativa e il culo parato: è roba che ha il suo fascino, non dico di no, come il riscaldamento centralizzato e la tv satellitare: però dovete sorridere alle supposte dei Tarasco, e mendicare amore da gente come la Bolognini.
Puoi sopportarlo, finchè non sai che c’è un’altra vita.
Quel giorno ho anche disdetto il contratto di affitto.
Con gli ultimi soldi mi sono comprato un giubbotto di pelle nera, uguale a Marlon Brando in Fronte del porto. Ho lasciato in negozio la vecchia giacca e me lo sono messo subito. Mi son visto camminare nelle vetrine, e non sembravo nemmeno più io.
Anche adesso che quel giubbotto ne ha viste di belle e ha la cerniera rotta, ci faccio un figurone con gli altri barboni della Stazione Centrale, tranne il Carugo: lui ha un cappello che ha fregato vent’anni fa a Pavarotti in sala d’aspetto, e se la tira come se avesse in testa l’elmo di Mambrino. (Racconto tratto dall’antologia “Attenzione! Uscita operai” edita da No Reply)
Valter Binaghi insegna Storia e Filosofia nei licei, è musicista e scrittore. I suoi romanzi sono: ”L’ultimo gioco”, scritto con Edoardo Zambon (Mursia 1999), “Robinia Blues” (Flaccovio 2004), “La porta degli innocenti” (Flaccovio 2005) ed il recente “I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti cronista padano” (Sironi 2007) accolto dalla critica come uno dei thriller italiani più interessanti degli ultimi anni.
No Reply è un laboratorio nato nel 2003 in nome dell'interazione fra editoria, musica, video, grafica, fumetti, per riflettere (sul)la cultura contemporanea in maniera trasversale, attraverso la ricerca formale sulla lingua e l’incontro con i più diversi generi musicali.
Si ringrazia Leonardo Pelo di No Reply per aver acconsentito alla pubblicazione del racconto.
“Attenzione! Uscita operai”
Libro + cd
(No Reply – Pagine 112 - € 19,00)
www.noreply.it