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INFORMAZIONE E TV - E' morto Funari. Viva Funari!
di Elisabetta Di Dio Russo

Descrivere Gianfranco Funari è complicato. Era una persona geniale, di quelle che nascono solo una volta ogni tanto.

Una persona in grado di annusare ed anticipare i tempi prima dei colleghi. Un “giornalaio”, come lui stesso amava definirsi, che sapeva dare filo da torcere ai giornalisti a cui in qualche caso  avrebbe potuto perfino insegnare la professionalità.

Dopo la sua morte si sono moltiplicati gli articoli su di lui con titoli a volte ingrati e volgari come “E’ morto Funari, l’inventore del talk show rissa”, o comunque titoli che lo avrebbero fatto andare su tutte le furie, lui, che in più di un’occasione aveva detto riferendosi alle prime donne del giornalismo televisivo italiano “Mi hanno scippato il talk show”.

Ho conosciuto Funari ai tempi del suo “esilio”, nel febbraio del 2002  per un’intervista, quando ancora collaboravo con il quotidiano “L’Avanti!”.

Lo avevo contattato per un’intervista e inaspettatamente qualche giorno dopo, in una fredda domenica invernale, è arrivata una sua telefonata, anticipata dalla voce vivace della sua amata Morena. Funari si annunciò al telefono con il suo inconfondibile savoir faire imponendo, seppure con grazia, l’intervista da lì a poche ore.

Era impossibile non accettare.

Lo incontrai in un lussuoso albergo a Milano nelle vicinanze della stazione centrale, emozionata perchè sapevo che avrei incontrato una specie di istituzione, un pezzo di storia della migliore televisione italiana.

Fui ricevuta dall’affabilità di Morena, nel salotto della loro camera d’albergo. Funari si fece vedere qualche minuto dopo. Indossava una maglietta chiara e un paio di occhiali da sole che non levò per tutta la durata dell’intervista.

Fu un’intervista inizialmente difficile. Funari mi aveva fatta accomodare su un divanetto, posizionando le luci in modo bizzarro: mi resi conto solo a metà dell’intervista di avere la luce puntata negli occhi e di poter vedere Funari solo in controluce. Capii allora di essere “sotto esame”, capii di quanto quell’uomo fosse  diventato diffidente nei confronti dei media, ma soprattutto capii quanto era stato ferito dal mondo della tv e dell’informazione che tanto amava, a cui aveva dato tanto e da cui stava ricevendo ingratitudine.

Quel che non sapevo era che quel giorno avrei esplorato la storia della politica italiana con un grande protagonista dell’informazione: un giornalaio che in realtà era uno dei più attenti, acuti ed informati esponenti del giornalismo italiano libero, senza vincoli politici.

Quel giorno abbiamo parlato di tv e politica, del socialismo, dei protagonisti della storia italiana, del suo viaggio ad Hammamet in visita a Bettino Craxi, dei colleghi che gli hanno girato le spalle.

Funari con la sua acuta ironia ha fatto il ritratto di molti uomini politici tracciandone il percorso professionale: le immagini di D’Alema, Fassino, Bossi, Berlusconi, Di Pietro sembravano materializzarsi nel racconto appassionato di un fotografo ora feroce, ora addolorato ma sempre lucido, anche se imprevedibile.

Funari mi spiegò la differenza tra i politici di oggi e quelli di ieri, tra la prima e la seconda Repubblica “Basta affacciarsi in Parlamento: quando ci sono tutti c’è una gran puzza di capra. Prima c’era un profumo di lavanda”.

Spietato, irriverente, ironico ma coerente. Amareggiato e deluso ma sempre pronto a combattere.

Rileggendo l’intervista oggi a distanza di anni mi sono resa conto quanto Gianfranco Funari fu profetico e quanto di quello raccontato nell’intervista si è poi verificato nel corso del tempo.

Ho sempre considerato quell’intervista uno dei tasselli più preziosi della mia attività di giornalista ma solo oggi mi rendo conto di aver avuto il privilegio di aver sentito raccontare la storia di una persona che a modo suo la storia l’ha fatta e l’ha interpretata.

Posso, con una punta di orgoglio, affermare di aver in qualche modo contribuito con la mia intervista a “sdoganare” Funari e a risvegliare l’interesse per il popolare anchorman nel circuito dei media che lo avevano fino a quel momento dimenticato, lasciandolo macerare nel suo esilio ingiusto ed ingiustificato.

Successivamente ho anche avuto la fortuna di collaborare per un tempo molto breve ma “intenso”con Gianfranco Funari che mi ha insegnato alcuni trucchi per affrontare il pubblico e che ancora oggi utilizzo quando mi capita di ritrovarmi di fronte ad una platea.

Con Gianfranco Funari se ne va una pietra miliare della tv.

Funari ha stravolto il modo di fare televisione cercando di rendere protagonisti gli spettatori e mettendosi coraggiosamente sempre al sevizio di chi guarda la tv e non di chi la fa.

Un battitore libero che non si è mai fatto mettere il guinzaglio da nessuno e non ha mai ceduto alle lusinghe del potere  e della politica. Per questo ha pagato con un assurdo esilio, un allontanamento dai grandi network televisivi che gli ha causato un’enorme sofferenza.

Malgrado tutto era una persona che non mollava, che non si arrendeva: una mente geniale, giovane, creativa, acuta imprigionata in un corpo reso sofferente più dalla malattia dell’anima che dalla malattia fisica.

Forse se avesse avuto la giusta attenzione, se avesse potuto occupare professionalmente lo spazio televisivo che gli spettava oggi saremmo tutti impegnati a commentare un suo nuovo programma televisivo invece di commentare la sua scomparsa.

Forse il mondo televisivo, dell’informazione, la stampa e tutti i media, tranne che in alcune isolate eccezzioni, dovrebbero sentirsi in qualche modo responsabili della sofferenza che ha tenuto compagnia a Gianfranco Funari negli ultimi anni della sua vita.

Ma come in questi casi capita eccoci tutti in prima linea a dire: “E’ morto Funari: Viva Funari”.

Senza pensare che insieme a lui se ne è andato uno degli ultimi battitori liberi. Un eroe dei nostri tempi e di quelli andati, di quei tempi che ci immergono nella nostalgia e ci fanno pensare che forse si stava meglio quando si stava peggio.