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INTERVISTA: Alessio Lega
di Elisabetta Di Dio Russo

Quando si parla di “rivoluzione” nella canzone d’autore italiana non si può fare a meno di pensare a grandi artisti come Fabrizio De Andrè, Giorgio Gaber o Luigi Tenco che hanno valorizzato e rivoluzionato con talento ed ideali il modo di fare musica.

Tra i giovani artisti Alessio Lega continua la “rivoluzione” dei grandi maestri, con lo stesso impegno, la stessa passione e molto talento.

In questa intervista Lega parla del suo nuovo album “sotto il Pavé la spiaggia”, descrivendo la sua attrazione per la canzone francese.

 

Come nasce la sua passione per la canzone francese?

 

Dalla canzone italiana! Nel senso che i maestri che m’appassionavano da bambino – De André per primo – avevano avuto quest’influenza francese, lo si diceva dappertutto. Così fui contagiato da quest’influenza detta “mal francese” ...

 

Cosa l’ha spinta a tradurre ed interpretare le canzoni degli autori francesi?

 

Credo che l’ascolto sia un’attività in cui la reciprocità arricchisce, come avviene col sesso. Il piacere che m’hanno dato le canzoni francesi, tendo a restituirlo. Poi mando i figli per il mondo, “perché del mondo sono i figli”. Nel peggiore dei casi il risultato non toglie nulla all’originale, nel migliore avrò dischiuso il cofanetto dei tesori senza privarmene.

 

In “Sotto il pavé la spiaggia” sono raggruppate le canzoni di diversi autori francesi. Lei si sente più vicino ad autori come Brassens o a quelli più irriverenti come Renaud?

 

Renaud, con la sua capacità d’indignarsi e di rispondere nell’immediato, mi sta molto simpatico. Brassens è un autore dall’immenso rigore formale e sostanziale: un classico. Il mio orizzonte (irraggiungibile?) sarebbe quello di riuscire a parlare al presente con la voce di un classico.

 

Le sue canzoni (non parlo solo di quelle contenute in “Sotto il pavé la spiaggia” ma di quelle che scrivi lei) sono scritte ed interpretate con rabbia nei confronti della società. Da dove arriva tutta questa rabbia?

 

La rabbia, sentimento quanto mai costruttivo, non può che arrivare dall’amore, e poi lì tornare.

 

Nelle sue canzoni spesso affronta temi sociali o che riguardano la politica.

Secondo lei che peso ha o dovrebbe avere la politica nella canzone d’autore?

 

Non è tanto una questione di tematiche da affrontare. Alla fine la maggior parte delle mie canzoni sono esistenziali o sentimentali… però sento il bisogno di battermi contro il minimalismo dei tempi depressi e narcotizzati. Questo minimalismo imbratta la canzone, sopratutto quella cosiddetta d’autore. Ciò che rivendico è la dignità di sguainare la chitarra e affrontare alla pari la storia, l’amore, la vita.

 

A suo avviso, nel nostro Paese, l’arte (in genere, non mi riferisco solo alla musica) è sufficientemente valorizzata?

 

Lorsignori se ne occupano alla loro maniera, cioè male. Io spero nell’abbandono, un nobile abbandono. In Italia è proibito andare in strada a cantare le proprie cose, perché la concezione è che lo spazio “pubblico” non è “di tutti”, bensì “dello stato”.

Lo “Stato”, per sua natura grammaticale, lavora al participio passato, così è normale che voglia rendere ogni cosa una tomba o un museo. Sono un partigiano dell’eutanasia, in primo luogo, di ciò che “è Stato“ perché arrivi il tempo di ciò che ”è” o che “sarà”.

Il mondo del lavoro e quindi delle arti (e dei mestieri).

 

Lei è uno dei primi artisti che con un atto di coraggio (estremo, oserei dire!) ha messo un suo disco in libero download su internet. Perchè questa scelta?

 

Più che altro è stato un atto di estremo buon senso (ma il buon senso è una filosofia molto estremista di ‘sti tempi). Le priorità di chi fa canzoni sono in primis che vengano ascoltate, in secundis che questo scambio si trasformi in un lavoro. Ora laddove il sistema del commercio (che comunque ha sempre teso ad arricchire in primo luogo i discografici parassiti) si trova nel marasma, io cerco di affidarmi ai mezzi che conosco per salvare il salvabile della comunicazione…

 

CODACONS e ADOC recentemente hanno lanciato un allarme a proposito della canzone italiana. Secondo le due associazioni “sta morendo”. E’ d’accordo?

 

Io vedo che sono i lavoratori della canzone in Italia che stanno letteralmente morendo di fame… e – ahimé - è una sorte che condividono con milioni di altri lavoratori, essendo fra l’altro tra i più precari. Il problema da risolvere è questo: casa, pane e rose per tutti… poi vedete come risorgono i corpi e le anime, canzoni comprese… e senza aspettare le trombe del giudizio.

 

Come vede il futuro della canzone d’autore?

 

Il futuro delle canzoni non è altra cosa dal futuro dell’uomo, abbiamo in mano la possibilità di renderlo meraviglioso, io – anche col mio modesto mestiere di cantante – sono qui a dare una mano.

(Fotografie tratte dalla sessione fotografica "Resistenza e Amore". Fotografo Sergio Giusti)