Non è facile descrivere il mondo variegato di Antonello De Sanctis: paroliere (anche se il vocabolo è caduto un po’ in disuso), scrittore, educatore.
Come autore ha esordito negli anni Settanta scrivendo “Padre davvero” per Mia Martini.
Ha firmato alcune tra le più belle canzoni italiane come la celebre “Anima mia” portata al successo dai Cugini di Campagna, e ha scritto i testi delle canzoni di moltissimi artisti italiani, tranne Adriano Celentano con cui ha ironizzato con il titolo del suo primo libro “Non ho mai scritto per Celentano” (edito da No Reply – 2007), un’intensa biografia dove vengono svelati i segreti e i retroscena della musica italiana.
Negli ottanta ha accantonato l’attività di “paroliere” dedicandosi a quella di educatore in un carcere minorile, riprendendo poi a scrivere canzoni negli anni Novanta.
Attualmente collabora con diversi artisti tra cui Mietta ( ha firmato alcuni brani dell’ultimo album di Mietta “Con il sole nelle mani” - Sony Music) , Paolo Meneguzzi e Nek. Suoi sono anche i testi di alcune canzoni contenute in “Ho bisogno di sentirmi dire ti voglio bene” (Universal), album d’esordio del giovanissimo Jacopo Troiani, terzo classificato nella categoria “giovani” nell’ultima edizione di Sanremo.
De Sanctis è stato uno dei protagonisti del Festival di Sanremo partecipando come autore a diverse edizioni con canzoni sempre molto diverse. Qualche esempio: nel 1977 con “Tu mi rubi l’anima” ha fatto conquistare il secondo posto ai Collage; nel 1993 ha scatenato numerose polemiche con “In te” canzone definita “antiabortista”, presentata da Nek; nel 1997 con “Laura non c’è”, Nek si è piazzato solo in settima posizione al festival scalando successivamente le classifiche dei dischi più venduti.
Proprio sull’ultima edizione del Festival di Sanremo, in questa intervista, De Sanctis, esprime la sua opinione con il suo solito stile acuto e pungente .
Cosa le è piaciuto dell’ultima edizione di Sanremo?
La spudoratezza della Rai che ha presentato un quasi sessantenne (il Festival) travestito da ragazzino trendy.
Cosa non le è piaciuto?
L’impudenza della Rai che ha presentato un quasi sessantenne (sempre il Festival) travestito da ragazzino trendy.
Hanno vinto Giò Di Tonno e Lola Ponce con una canzone scritta da Gianna Nannini. Chi è invece, a suo avviso, il vincitore morale del festival?
Mi sono piaciuti Tricarico, Gazzè, Cammariere. Il primo, vero o finto spaesato che sia, racconta un mondo onirico che mi piace.
Lei è stato, come autore, uno dei protagonisti di varie edizioni di Sanremo
Cosa pensa delle canzoni (soprattutto dei testi) di questo untimo festival?
La qualità dei testi sta crescendo in misura inversamente proporzionale alla musica: il fatto è che una buona musica salva un testo mediocre, ma non accade mai il contrario. Stilisticamente i brani di quest’anno somigliano a una macedonia colorata... ma dove sono le mele, le ciliege, dov’è il profumo delle pesche? La verità è che siamo figli della Coca Cola, dei Mc Donald’s, dei surgelati e della frutta in scatola. E tanto rendiamo con le canzoni.
Una volta si diceva che una canzone adatta al festival di Sanremo era quella da poter fischiettare sotto la doccia, invece nei testi delle canzoni è prevalso “l’impegno”, da quella di Zampaglione a quella di Frankie HI NRG MC( ti cito questi due perché protagonisti di una antipatica polemica durante il dopofestival). Le è piaciuto l’allontanamento degli artisti dal tipo di canzone “spensierata”?
La canzone spensierata è per fischiettarla, quella “impegnata” – o pseudo tale – è per martellarsi con tenacia le tempie, spesso. Personalmente preferisco i brani d’amore, anche se sull’amore sembra sia già stato detto tutto. Una ricetta ce l’avrei: ricominciare ad amare, in primis e, quando questo dovesse accadere, le parole per raccontare verrebbero, eccome se verrebbero.
Una sua opinione sui giovani che hanno partecipato?
Tutto il bene del mondo perché sono giovani, anche se sono convinto che Sanremo non è, per loro, un percorso da privilegiare. Il fatto è che, Festival o no, sto ancora aspettando, dopo De Andrè, Modugno, Battisti, qualcuno che dia il segno di un cambiamento epocale in questo mare di musica che sa di succedaneo.
E i bocciati eccellenti dalla commissione di Sanremo come Shel Shapiro, Pacifico, Rossana Casale, Ron, Alberto Fortis, Francesco Baccini?
Pensi che avrebbero aggiunto o tolto qualcosa? Il resto è ipotesi, senza controprove.
Due parole sulla giuria definita “di qualità”.
Mi sembra che gran parte della giuria – escluso Boncompagni, che dormiva – poco avesse a che fare con le canzoni.
Ha ancora un senso la “gara” in questa grande vetrina della canzone?
Se non ci fossero la gara, le mattanze, i pettegolezzi, le risse, il Festival avrebbe un appeal pari allo zero. Con tutti questi inevitabili contorni un bel cinque glielo possiamo attribuire... e già siamo in odore di santità.
Le è piaciuta la conduzione del festival?
Prevedibile. Centripeta per quanto riguarda Baudo, centri-fuga per quanto attiene gli ascolti.
E il dopo festival?
Dormivo, ma forse ho fatto male.
Sanremo, secondo lei, è ancora il Festival della canzone Italiana?
No, è piuttosto la Fiera della canzone italiana. Una sagra strapaesana dalla quale mancano, purtroppo, i fiaschi di vino, le salsicce sul fuoco e i balli sull’aia con quelle belle contadine che sanno di terra. Non mi piace, però, “sparare sulla Croce Rossa”. Il Festival è un’occasione per promuovere la musica, una delle poche rimaste. E poi è un posto romantico, si mangia bene, ci sono tanti fiori...
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