Ricerca Archivio
 
MOSTRE - Milano ospita "L'immagine della bellezza": gli scatti di Arturo Ghergo

Rimarrà aperta fino al 29 giugno la mostra “L’immagine della bellezza” dedicata ad Arturo Ghergo, allestita a Milano nelle sale di Palazzo Reale e promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano.

L’esposizione ripercorre, attraverso 350 opere, la carriera di uno dei protagonisti della fotografia del XX secolo che ha reso immortali dive del cinema e della moda, celebrità politiche e religiose, ed esponenti dell’alta società della metà del Novecento.

Il percorso espositivo, curato da Claudio Domini e Cristina Ghergo, presenta le fotografie che documentano trent’anni di lavoro del celebre fotografo, dai primi anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta.

Le immagini testimoniano la grandezza di questo maestro della fotografia che con i suoi scatti ha reso immortali dive del cinema e della moda, celebrità politiche e religiose, ed esponenti dell’alta società della metà del secolo scorso.

Davanti al suo obiettivo sono sfilati personaggi dell’alta borghesia, della nobiltà nonché personaggi famosi in campi diversitra cui l’Aga Khan, Agnelli, Pietro Badoglio, Galeazzo Ciano, Alcide De Gasperi, Luigi Einaudi, Leonor Fini, Hussein di Giordania, Donatella Pecci Blunt, Mario Scelba.

Anche il mondo del cinema non ha potuto sottrarsi all’occhio esperto di Ghergo: negli scatti del fotografo molti ritratti di attrici come Alida Valli, Isa Miranda, Sofia Loren, Ingrid Bergman, Valentina Cortese, Marina Berti, Doris Duranti, Assia Noris, Isa Pola, Mariella Lotti, Clara Calamai, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano, Silva Koscina, Silvana Pampanini, Rossella Falck e attori quali Vittorio Gassman, Massimo Girotti, Amedeo Nazzari, per citarne solo alcuni.

Il visitatore può facilmente ripercorrere le tappe salienti della carriera di Arturo Ghergo, iniziata nel 1929 quando dalle Marche si trasferisce a Roma. Nonostante la sua totale mancanza di mezzi, decide di dedicarsi unicamente a ritratti di formato non inferiore al 18 x 24 cm e riesce ad aprire uno studio in pieno centro città, il famoso Studio Ghergo di via Condotti – che per decenni è stato crocevia di personaggi famosi provenienti da tutt’Italia. Dalla metà degli anni Trenta allo studio inizia a lavorare Alice Barciska che, dieci anni più tardi, diventerà la moglie di Ghergo.

La mostra rimarrà allestita fino al 29 giugno. (Catalogo Silvana Editoriale)

 

Prima di Arturo Ghergo, in Italia non esisteva ancora uno stile fotografico che si proponesse di comunicare "fascino”. La glamour photography era nata negli anni Venti fra i major movie studios di Hollywood, accompagnando il passaggio dal cinema muto al sonoro. È la fotografia il mezzo principale con il quale divismo cinematografico viene diffuso al di fuori dei grandi schermi, principalmente attraverso la stampa dei rotocalchi, proponendo nuovi modelli estetici, in linea con una più generale evoluzione del gusto modernista internazionale che dall’Art Nouveau era giunto al Deco. La glamour photography ricorre frequentemente a pose scultoree e coreutiche, abbigliamenti eleganti, espressioni distaccate, gesti sofisticati, forme sensuali esaltate da marcati contrasti di luce, tutti elementi che concorrono a stabilire un’aura con cui si segna una distanza insormontabile fra il divo, oggetto di ammirazione, e i comuni mortali. Parallelamente, iniziava ad assumere un’identità più connotata la fotografia di moda (fashion photography), non solo attraverso le riviste specializzate (“Harpers’s Bazaar”, “Vogue”), ma anche presso la stampa più popolare in cui compare con frequenza crescente, non definendo una precisa linea di distinzione dalla glamour, di cui condivide molti caratteri.

La glamour e la fashion photography arrivano in Italia negli anni Trenta, dunque nel pieno di una fase in cui il regime fascista si prefigge con sempre maggiore consapevolezza di incarnare una via nazionale al modernismo, fondata su valori coerenti con la tradizione culturale latina, facendo dell’ideale estetico un veicolo di propaganda politica che avrebbe dovuto favorire la presunta nascita di una nuova razza italica. L’isolamento internazionale che si determina negli anni dell’autarchia (1936-43) favorisce notevolmente lo sviluppo di un’industria culturale di massa per la quale Cinecittà diventa una precisa alternativa a Hollywood e il rotocalco “Tempo” una risposta all’americano “Life”, il più celebre nel mondo.

In questa industria, la fotografia svolge un ruolo di grande importanza nel divulgare i nuovi modelli estetici di riferimento. Non serve più la fotografia d’arte e pittorialista, improntata a criteri formali ed espressivi derivati dall’arte accademica o del modernismo tardo-ottocentesco, a cui ancora si ispira la ritrattista più affermata di Roma, l’ungherese Ghitta Carell. Serve, piuttosto, una via nazionale alla glamour e alla fashion photography che esprima un nuovo stile nazionale, moderno, portatore di nuovi valori, ma non in senso iconoclasta rispetto alla tradizione, informato degli indirizzi “novo-classicisti” che l’arte italiana del Ventennio stava proponendo. Lo studio Ghergo diventa il promotore più efficace ed evoluto di questa nuova fotografia, il più sofisticato ed emblematico rappresentante del glamour nazionale, concentrato in particolare nel definire nuovi modelli femminili, decisamente evoluti rispetto al cliché matronale e familiare dell’Italia più conservatrice, destinato a riscuotere successo fino alla fine degli anni Cinquanta.

 

Arturo Ghergo (1901-1959) nativo di Montefano (Macerata), dove aveva appreso i rudimenti della tecnica fotografica nello studio del fratello Ermanno, Arturo Ghergo era giunto a Roma nel 1929, con il proposito di affermarsi come il miglior fotografo della Capitale. Nonostante i mezzi economici fossero inadeguati, riuscì ad aprire uno studio nella centralissima via Condotti,  e a farsi conoscere nell’ambiente dell’alta società romana come ritrattista raffinato e originale, anche grazie ad una  tecnica di ripresa e di successiva manipolazione delle immagini di straordinaria qualità.

Dalla metà degli anni Trenta è il ritrattista prediletto dall’aristocrazia romana e dal mondo cinematografico. Praticamente tutti i divi di Cinecittà passano dallo studio di via Condotti 61, per esigenze legate alla produzione dei film di cui sono protagonisti, ma anche per vezzo personale, tale è il riconoscimento goduto da Ghergo nel suo ambiente.

Ghergo non ama la celebrazione del potere e, seppur ambito come ritrattista da molti personaggi celebri del mondo istituzionale, raramente si concede, lo farà per Pio XII, per l’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, per Alcide De Gasperi e Giulio Andreotti.

Accanto alla ritrattistica nella produzione di Ghergo trovano posto le immagini di moda, in quegli anni poco o nulla praticata come “specialità fotografica”, e di cui egli risulta indubbiamente un precursore, e qualche incursione nella pubblicità, prevalentemente per la Ferrania.

A metà degli anni Cinquanta, in quelli che saranno gli ultimi anni della sua vita, decide di dedicarsi con trasporto alla pittura, di cui ci restano pochi ma apprezzabili esempi. Muore a Roma nel gennaio 1959.

Alla sua morte la moglie Alice prima e la figlia Cristina poi, proseguiranno l’attività dello studio.

(Foto: il copyright  © Archivio Ghergo)

 

 

 

 

Arturo Ghergo

“L’immagine della bellezza”

21 maggio – 29 giugno 2008

 

Palazzo Reale

Piazza Duomo 12  – Milano

 

Orario:

martedì – mercoledì – venerdì – sabato – domenica  9.30 – 19.30

Giovedì 9.30 – 22.30

Lunedì 14.30 – 19.30

 

Ingresso libero

 

 

Catalogo Silvana Editoriale (Pagine 168; Euro 29 in mostra; Euro 35 in libreria)

 

 

Info:

www.comune.milano.it/palazzoreale