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DISCHI - Gli "Anni Ruggenti" di Marco Ongaro
di Elisabetta Di Dio Russo

Marco Ongaro non è tipo da farsi condizionare dalle mode.

Insofferente agli attuali esempi proposti dalla musica italiana proprio non se la sente di assecondare la discografia che detta legge con l’assurda mania della canzone “commerciale” o, peggio ancora, “radiofonica”: più che altro tenta una debole e pacifica convivenza.

Semmai è la discografia che non ha più il coraggio di corteggiare artisti come Ongaro forse perchè troppo in alto, troppo raffinato per la musica del Duemila o forse perchè non si ricorda più come si corteggia un “Artista”.

Ongaro se ne infischia della moda radiofonica e commerciale che vuole tutta la musica uniformata ad un unico ed insipido modello e, di accontentare i “venditori di fumo”, proprio non ne ha voglia.

Rema controcorrente ma arriva imperturbabile alla meta: tira fuori un disco antico, talmente antico da apparire ultramoderno e così raffinato da assomigliare più ad un gioiello discografico che ad un semplice disco.

Dopo l’aristocratico “Archivio Postumia”,  scritto e inciso molti anni prima della pubblicazione, risultando comunque perfettamente al passo con i tempi, forse addirittura in anticipo, il cantautore veronese propone “Anni ruggenti”, un nuovo album con cui, ancora una volta anticipa i tempi e si ritrova un passo avanti rispetto alla tendenza musicale italiana.

Il clima evocato dal titolo, “Anni Ruggenti”, è delizioso: siamo in piena epoca proibizionista e canzone dopo canzone, melodia dopo melodia, è facile farsi cullare dalle note e dai testi talvolta ironici, altre volte audaci ma comunque sempre coraggiosi e da quel linguaggio musicale straordinario dei tempi andati, per un breve viaggio nell’epoca tra la fine della Grande guerra e la crisi del 1929.

Complici i musicisti della Storyville Jazz Band che esaltano le canzoni di Ongaro e con perfetta riuscita scenografica arricchiscono l’atmosfera dei testi che diventano incredibilmente “vivi” tra una nota e l’altra, alcuni dei quali molto adatti all’epoca odierna come quello della squisita “Paga le tasse Al”, o “Ringraziamo”.

Piccole storie di gangsters ma anche di persone comuni, in bilico tra la disperazione degli anni di crisi e la spregiudicata voglia di follia.

Tra le canzoni si avverte la tensione di un tavolo da gioco, si intravedono le ombre di un cinematografo con i film in bianco e nero, si intuisce l’odore delle sigarette misto a quello dell’alcool, sorseggiato di nascosto.

Carismatica “Non si beve e non si fuma”, di grande effetto “Bourbon story Blues” dove la Band dà libero sfogo a tutta la sua verve, e davvero seducente la bellissima “Il cinema degli anni Ruggenti”.

Marco Ongaro è spettatore immaginario delle sue storie e protagonista assoluto del disco che interpreta col suo stile sobrio e raffinato.

L’artista veronese ancora una volta, istintivamente, va controtendenza.

Ancora una volta anticipa i tempi. (Azzurramusic)