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L'INTERVISTA: Alberto Fortis
di Elisabetta Di Dio Russo

 

E’ sempre bello parlare d’arte con Alberto Fortis, uno degli artisti più particolari ed autentici, che ha segnato, con la sua originalità, il corso della storia della musica italiana. Oggi, in un terreno sempre più scivoloso ed accidentato dai “senza talento”, dalla poca professionalità di chi gravita attorno al pianeta musica e dalle meteore che brillano una sola estate, anche i grandi artisti rischiano brutte cadute. Non è il caso di Alberto Fortis, sempre al passo con l’attualità che lo circonda ma che non subisce. In questa intervista l’artista piemontese spiega come è cambiato il concetto della parola “arte” nel tempo, raccontando il malessere di una società sempre più vittima dell’improvvisazione professionale.

 

Il suo ultimo singolo si intitola “Sindone”. Perchè questo titolo e qual è il messaggio che racchiude la canzone?

 

Il titolo è la sintesi del mio percorso musicale: nelle mie canzoni ho sempre dato ampio spazio all’aspetto umanistico – spirituale.

Viviamo un momento epocalmente difficile, confuso per quanto riguarda l’aspetto sociale, territoriale e religioso.  Non ho mai nascosto di essere una persona “credente” e tra virgolette “cristiana” anche se spesso rimango critico e polemico nei confronti dell’aspetto religioso certe volte troppo legato alle istituzioni.

Mi sento molto affascinato dalla figura di Cristo: questa canzone è nata proprio attraverso il significato e la figura molto simbolica della Sindone che sembra proprio riassumere il momento difficile che stiamo attraversando.

Il testo della canzone parla anche tanto del quotidiano, vi è il riferimento al pane, al vino che diventa anche un mezzo di sostentamento.

Quindi  “Sindone”, per me, è la fotografia del momento che stiamo vivendo, difficile un po’ per tutti. Un momento difficile anche per l’arte, fatto di grandi voglie, di grandi ostinazioni, di intenzioni e pensieri bellissimi che si scontrano quasi sempre con una realtà sempre più trafficata, faticosa e soprattutto sempre più diretta da una mentalità ottusa che, tanto per far riferimento alla cinematografia, in questo caso a “Guerre Stellari”, è un po’ il lato oscuro della forza.

 

Ha pronunciato la parola “arte”.

Molti artisti si lamentano che l’arte nel nostro paese è poco rispettata dai media e accusano i giornalisti di dedicare attenzione solo alla stessa rosa di pochi nomi eccellenti. Cosa ne pensa? Cosa significa per lei la parola “arte”oggi?

 

Parlando di musica direi che il giornalismo di oggi non può, più di tanto, scalfire la carriera di un artista. Venti anni fa bastavano le recensioni positive dei quattro -  cinque “guru” del giornalismo, che rappresentavano un’ottima piattaforma di lancio per un’artista ed erano alcuni degli elementi su cui si basava la promozione di un album. Quindi vent’ anni fa le firme autorevoli del giornalismo contribuivano a condizionare il pubblico. Oggi è diverso e poi non mi sembra che i giornalisti parlino sempre e solo dei grossi nomi. Semmai questa responsabilità è da attribuire ai network radiofonici che dettano legge. La discografia negli ultimi dieci anni si è fatta totalmente prevaricare dal potere dei gruppi radiofonici e non riesce più a far accettare nuovi progetti che non siano espressamente legati ai soliti nomi famosi.

D’altra parte, lo sappiamo tutti, oggi si va per categorie: se viene proposto un disco, anche meraviglioso, di un artista che ha più di venti anni o non arriva da un successo recente, non viene assolutamente preso in considerazione!

Tornando alla definizione della parola “arte”, oggi, l’arte con la “A” maiuscola è veramente una grande scommessa oltre che una grande fatica perchè purtroppo, come ho detto, non è certo la meritocrazia o la sostanza dell’arte ad essere premiata dagli addetti ai lavori che non amano nemmeno parlare di arte ma preferiscono parlare di profitto, di business.

L’arte oggi potrebbe essere considerata “l’antidoto per gli addetti ai lavori”. (E’ una definizione che forse starebbe meglio in bocca a Vittorio Sgarbi, però mi piace)

 

Le cose non vanno meglio anche negli altri campi, non crede?

 

Certamente: infatti io mi riferisco proprio al periodo in generale: è chiaro che l’arte nei momenti difficili non è vista come un bene primario di consumo perchè l’arte “non si mangia” però, non dimentichiamoci che l’arte è sempre l’antenna e, in qualche modo, il sintomo che spiega come vanno le epoche.

 

Che attinenza c’è tra l’arte e i nuovi artisti?                             

 

La musica è una forma d’arte che è stata fortemente penalizzata. Con le nuove tecnologie è talmente replicabile che ha decimato il mercato discografico dando a tutti la possibilità di realizzare dischi. Se da una parte vi è stato l’aspetto “democratico” dall’altra è impossibile non sottovalutare lo sdoganamento del dilettantismo: oggi chiunque può realizzare un disco e improvvisarsi artista. Se poi chi usufruisce di questa improvvisazione non ha esperienza, non sa stare su un palcoscenico e non è un artista spetta al  tempo deciderlo però, in questo modo, si crea un traffico impressionante con un mumero altissimo di cd che vengono sfornati ogni mese, che crea disorientamento e disamoramento da parte di tutti.

In questa situazione creare progetti ma, soprattutto proporli, diventa sempre più difficoltoso.

 

Si riferisce ai “senza talento”?

 

Sì anche se creare nuovi artisti, i “senza talento” appunto, è stata soprattutto la filosofia e la politica dell’infatuazione dei reality.

Verrebbe voglia di ripensare a quando c’era la cultura, quella vera e alla preparazione degli artisti, a quando insomma non ci si affidava all’improvvisazione.

Bisognerebbe parlare di educazione, ripristinare l’antico modello dell’agorà ateniese.

I senza talento sono figli dell’epoca degli “orchi” che stanno a capo dei grandi salotti o di certi programmi televisivi demenziali e della grande editoria televisiva.

Stiamo tornando nella fossa dei leoni: non resta che combattere o fare i ludi con la sciabola.

 

Qual è il peso di internet sul calo delle vendite dei dischi?

 

E’ chiaro che internet influisce moltissimo ma secondo me è anche un processo ineluttabile. Credo che chiudere internet per quanto riguarda la musica sia assolutamente impossibile. Ci vorrebbe più tutela da parte di chi sta nella famosa “stanza dei bottoni”: così come si creano le “guerre false” o si raccontano cose “diverse dalla realtà” credo che con un po’ di buona volontà sarebbe anche possibile tutelare gli artisti dal download facile.

 

Torniamo all’arte: lei è attualmente direttore artistico di un progetto che riguarda la poesia di Salvatore Quasimodo. Quando sarà il primo appuntamento con questo evento singolare?

 

Il 28 marzo a Verona ci sarà la “Giornata mondiale della Poesia”. In quell’occasione verrà presentato “QProjet” che non è il classico progetto diretto ad un pubblico di nicchia ma aperto a tutti.

“QProjet” non è solo un commento con una struttura musicale costruita attorno alla poesia di Quasimodo che ha sempre camminato nella sua essenza crepuscolare, metafisica.

Sarà uno spettacolo, basato sulla contaminazione tra diversi stili, con influenze soul, hip hop, molto naturale e molto rispettosa nei confronti dell’opera di Quasimodo, ma anche molto azzardata.

Il progetto è il matrimonio tra poesia e musica: oltre la mia presenza in scena anche la presenza della cantante lirica Rita Melany Freni che fa parte del gruppo musicale "QProjet" e quella fondamentale del figlio di Quasimodo, Alessandro.

“QProjet” simboleggia il “vascello” del mondo di Quasimodo che deve navigare libero da qualsiasi prevedibile riferimento generazionale e che soprattutto, ripeto, non deve diventare uno di quei tanti progetti dal peso specifico greve e molto profondo in grado di accontentare soltanto un’area ristretta di pubblico.

L’obiettivo è quello di fare in modo che la poesia di Quasimodo, con questo supporto musicale, possa arrivare ad essere trasmessa anche dai famosi network radiofonici e che magari possa comprendere anche la realizzazione di un cd diretto alle scuole.

 

www.albertofortis.it