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L'INTERVISTA - Vittorio Bustaffa: "L'arte richiede impegno e disciplina"
di Elisabetta Di Dio Russo

 

 

 

Ci sono molti modi per definire l’arte e in particolar modo la pittura. Un dipinto può emozionare o lasciare indifferenti a seconda di chi lo guarda e di chi lo realizza.

Quando si guarda un’opera di Vittorio Bustaffa è difficile rimanere distaccati perchè si viene immediatamente colpiti dal movimento, dalla “musicalità” che rende vivi ed emozionanti ogni tratto, ogni pennellata.  Vittorio Bustaffa in questa intervista racconta il suo rapporto con l’arte.

 

 

Come è nata la sua passione per il disegno e la pittura?

Credo sia nata parallelamente allo sviluppo della mia infanzia. Da bambino, avevo più o meno cinque anni, avevo sempre con me un quaderno e una matita e automaticamente si è sviluppato un rapporto con il disegno molto stretto che, da sempre, per me è anche un modo per capire un po’ la vita.

 

Lei divide la sua vita tra l’attività di pittore, quella di insegnante e quella di illustratore. Dove si riconosce di più?

Penso nella pittura, indubbiamente. Penso che la pittura in realtà sia un’unica attività che contiene pedagogia, filosofia e anche illustrazione.

 

Nei suoi quadri e nei suoi disegni si scorge sempre un certo movimento, una grande armonia, una certa “musicalità”: una sua opera non è mai statica, ma in qualche modo è sempre viva. E proprio perchè è viva emoziona. Come nasce una sua opera?

Se devo pensare a un quadro nello specifico ritengo che la mia ricerca sia estremamente complessa e complicata. Perchè il movimento che cerco io è il movimento che riguarda un po’ ciò che noi pensiamo del tempo e come lo viviamo. Non tanto la vitalità come gestualità, quanto piuttosto una sovrapposizione di ricordi, di attimi, di gesti e di materie che nella pittura formano per conto loro un movimento. Se poi questa mia ricerca riesce o meno è tutta da stabilire!

 

La maggior parte dei suoi quadri e dei suoi disegni raffigura delle persone. Perchè?

E’ vero. Ho un interesse ai limiti dell’ossessione nei riguardi della figura. Questo perchè disegnare la figura è un modo per riappropriarsi di un’identità. Credo che lo studio anatomico veramente approfondito permetta di capire anche i rapporti con lo spazio: capire la misura dell’uomo significa anche capire come gestire lo spazio.

Quando si parla di spazio, in pittura, ci si riferisce anche al rapporto tra oggetto e soggetto e quindi anche il modo di vivere dell’oggetto.

 

Quali sono le maggiori difficoltà che oggi un artista incontra nel campo dell’arte e, nel suo caso, nella sua professione di pittore?

Credo che ci siano due grandi difficoltà. La prima è quella dovuta ai meccanismi del mercato che in Italia, ma anche all’estero, sono generati da modalità più che culturali mercantilistiche, magari anche di alto livello qualitativo ma non gestite da un vero rapporto con il pubblico. Io penso invece che l’arte contemporanea, in questo momento, dovrebbe essere giudicata anche dal pubblico, anche se il pubblico potrebbe avere grossi limiti.

L’altra grande difficoltà che io trovo è che la maggior parte degli artisti lavorano senza conoscere i fondamenti della pittura.

 

Quindi secondo lei alcune difficoltà sono determinate proprio dalla scarsa cultura e dal modo di agire degli artisti?

Sì, io credo che ci siano dei grossi limiti perchè molti artisti pensano di produrre un’arte in qualche modo produttiva per se stessi e gli altri mentre in realtà rimangono a “girare su se stessi”. Che poi, “girare in tondo” senza avere quello spirito, quella “sprezzatura”, come diceva Baldassarre Castiglione, che mi stacca dall’opera e mi permette di vedere anche la mia contemporaneità in modo adeguato, è anche una delle mie paure.

Spesso le direzioni del mercato e di certi ambienti che si definiscono promotori della cultura conducono l’artista a subire certe influenze, per cui l’artista non pensa più all’opera  ma di come si parlerà dell’opera. Così alla fine diventa più importante ciò che si dice dell’opera che l’opera stessa.

 

Secondo lei in Italia da parte delle istituzioni vi è abbastanza rispetto e attenzione per l’arte?

Potrei rispondere di sì ma con grosse riserve. Durante tutta la mia esperienza non ho mai visto una istituzione che mi desse un aiuto. Difficile, per esempio, consigliare un giovane artista che vuole chiedere aiuto ad un’istituzione, sia perchè purtroppo esiste ancora un sistema clientelare, sia perchè l’istituzione ha sempre meno le idee chiare. Devo dire che  ultimamente si sta verificando un’ apertura: sono stato colpito da un operazione che mi piace moltissimo, che ha visto uno dei musei italiani d’arte contemporanea  più importanti, come il Pecci, che si farà rappresentare alla Biennale di Venezia da Andrea Martinelli, un giovane pittore figurativo di altissimo livello che conosco e stimo tantissimo. E’ un passo in avanti che mi rassicura un po’.

 

Quanto è importante la comunicazione nel suo mestiere?

I media stanno assumendo una grandissima importanza, forse ancor più delle gallerie e delle case editrici. Internet sta svolgendo un ruolo di diffusione e di cambiamento dei mezzi di comunicazione, anche se, il grandissimo limite che la rete ha nei confronti della pittura non permette ancora quel grande passaggio tra l’osservatore e la percezione della materia che, nella pittura, è fondamentale. Ma, specie per un giovane artista, internet rappresenta un mezzo validissimo per la comunicazione perchè oggi non esiste più una vera promozione culturale fatta a livello istituzionale.

 

Lei insegna nella Scuola Internazionale di Comics. Quali sono le difficoltà che incontrano i ragazzi che seguono le sue lezioni?

Penso che le maggiori difficoltà non siano date dalla mancanza di talento ma dalla profonda incoscienza delle direzioni da seguire. Ci sono dei ragazzi che nutrono delle aspettative eccessive nei confronti del mondo del lavoro e vogliono risultati immediati, mentre la disciplina artistica è molto impegnativa, richiede tempi lunghi e grande calma. L’ansia di trovar lavoro influenza in maniera deleteria i giovani, anche di talento, che rimangono confusi e talvolta si ritirano.

 

Artisti si nasce o si diventa?

Entrambe le cose.  Si nasce un po’ artisti ma, anche con un gran talento, se non si mette a frutto il proprio potenziale con la disciplina il talento alla fine muore. Penso poi che buttare il colore sulla tela a casaccio sia una gran fesseria e che invece, come diceva Leonardo, la questione mentale per il pittore rimane fondamentale. Questo non significa diventare dei filosofi ma significa semplicemente prender coscienza e avere il coraggio di esprimere ciò che si prova.

 

Progetti futuri?

In realtà il mio progetto più ambizioso sarebbe quello di dedicarmi esclusivamente alla pittura e continuare l’insegnamento con pochissimi allievi selezionati, anche se forse sarebbe una meta incompleta.

Mi trovo bene a lavorare anche in altri ambiti e sto lavorando a diversi progetti, alcuni  fumettistici e alcuni di illustrazione. Ci sono due progetti a cui tengo molto. Uno è quello dello sviluppo fumettistico che ha avuto una grossa risposta in Francia: io ed altri artisti Francesco Frosi, Stefano Tamiazzo e Pierluigi Ongorato abbiamo fatto una mostra a Parigi presentando delle grandissime tavole a fumetti su testi di Bernardo Cinquetti e si spera che questo progetto possa avere nuovi sviluppi dopo il successo di Parigi. L’altro progetto è più personale: ho lavorato con Andrea Cagioni che è un bravo scrittore ed è appassionato di Antonin Artaud. Insieme, abbiamo autoprodotto una pubblicazione su un commento dei “Quaderni di Rodez” di questo grandissimo poeta e pensatore e stiamo sviluppando un progetto sempre legato ad Artaud: un libro d’arte sull’esperienza di Artaud come disegnatore e poeta. Ma sono moltissimi i progetti a cui sto lavorando, anche in ambito musicale con artisti come Susanna Parigi e Luca Bonaffini che, oltre a stimare moltissimo, è anche un caro amico.

I progetti futuri di un pittore sono sempre “futuri”. In realtà mentre si lavora ad un progetto si pensa già a quello futuro, perchè dopo cinque minuti che si è fatto un disegno si ha subito voglia di farne un altro per vedere se si riesce a migliorare. Ma questo fa parte delle tipiche ansie del disegnatore.

 

 

www.vittoriobustaffa.com

 

 

 

(Marzo 2011)