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Roberto Citran in "Nel nome del padre"

Roberto Citran porta al Teatro della Cooperativa, in prima milanese, lo spettacolo tratto dal libro di Claudio Fava “Nel nome del padre”, in cui viene narrato l’omicidio del padre avvenuto nel gennaio 1984.

Trent’anni, poco meno: lo spazio che separa un padre da un figlio. Il padre morto, ucciso dalla mafia. Il figlio che si fa uomo, che diventa anch’egli padre, che accumula il tempo trascorso dentro di sé. E che questo tempo vuole raccontarlo. Non per celebrare un lutto o per ricordare un morto ma per capire cosa accadde dopo. Dopo: quando il morto fu seppellito, quanto tutto sembrava risolto, appagato, ammansito. E invece fu allora che cominciò la storia: la verità negata, stravolta dalla viltà dei vivi, le indagini depistate, le vittime indagate, il ricordo profanato. Come accade sempre quando Cosa Nostra uccide: perché ammazzare non basta mai, bisogna poi accanirsi sulla memoria, smembrarla a morsi, logorarla con l’oblio. “Nel nome del padre” racconta la ribellione a quest’oblio, la rivolta contro la prudenza dei giusti, è il sofferto rammentare l’omertà che accompagnò quel delitto. Ed è anche una memoria rivolta a questo padre che se n’è andato senza sapere, senza capire cosa stava per accadere. Un modo per chiamarlo in causa, per condividere con lui il prezzo di questi anni senza gloria. Perché ciò che è terribile non è morire: è finire, rassegnarsi, parlar d’altro.

In scena dal 29 ottobre al 3 novembre. (foto di G. Cecconi)

 

Appunti di Roberto Citran

Quando ho letto il libro di Claudio Fava ho provato un grande dolore per lo strappo subìto a causa di una morte violenta, un uccisione: l’omicidio del padre. Qualcosa di terribile che si fa fatica solo a immaginare, che pensi possa accadere giusto in certi film, come tanti di quelli che ho visto nel passato che parlavano di mafia. E che magari, all’uscita dal cinema, mi provocavano rabbia e odio profondo per un mondo, che comunque, stentavo a riconoscere. Forse, perché geograficamente lontano dal mio. Mettere in scena questo testo ha significato per me un tentativo di accorciare questa distanza. Attraverso la drammaturgia teatrale, ho cercato di far vivere, o meglio di condividere con lo spettatore, l’esperienza di un omicidio per mafia, cosa rivela e cosa significa per i parenti.

Nello spettacolo, tratto dal libro omonimo “Nel nome del padre”, si racconta questa terribile esperienza con grande pudore senza mai comunicare sentimenti di vendetta o senza mai usare toni di autocommiserazione. Si entra nei dettagli della vicenda raccontando la realtà così com’è stata e non come si è voluto far credere. Il testo, sotto forma di lettera, è stato scritto a trent’anni di distanza dall’omicidio (gli stessi che separavano Claudio dal padre), quando l’autore stava per compiere gli anni del padre al momento della sua uccisione. Parla di un omicidio commesso dalla mafia, di come si sia tentato per anni di seppellire la verità, depistando indagini, corrompendo giudici, stravolgendo la realtà dei fatti. Ma parla anche di come un figlio non si sia voluto mai rassegnare, non abbia mai rinunciato a cercare la verità e come questa ricerca abbia rappresentato per lui un atto di ribellione, ricostruendo pezzo per pezzo ci che è accaduto, e insieme anche la propria vita.

 

 

Info

Teatro della Cooperativa

via Hermada 8 - Milano

Tel. 02.64749997

www.teatrodellacooperativa.it 

 

 

 

(Ottobre 2013)