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L'INTERVISTA - Max Manfredi: "Vi racconto il mio Dremong"
di Elisabetta Di Dio Russo

"Dremong" è il titolo del nuovo album di Max Manfredi. Un disco dalle mille sfumature e dalle innumerevoli emozioni quello proposto dall'artista genovese che, ancora una volta, sorprende il pubblico con brani carismatici, alcuni dalle atmosfere particolarmente "noir" in grado di affascinare anche i palati più raffinati.

L'album è, come il titolo, un orso dal carattere volubile: tenero o spietato, che incute rispetto o addirittura suscita terrore. In "Dremong" ci si perde, felici di perdersi in un labirinto di poesia, tra melodie che sanno di antico e nuove armonie proiettate verso il futuro.

 

 

Per l'album hai scelto un titolo insolito, che se non sbaglio è un termine tibetano per definire l'orso tibetano. L'orso può evocare immagini delicate, buffe (l'orsacchiotto di peluche), di rispetto (se si pensa alla forza, alla maestosità dell'orso) o addirittura di terrore. Il tuo album che tipo di orso è?

Tutte e tre. L'orso è una specie di anello mancante fra l'uomo e il dèmone. Può comportarsi come un uomo "civile" o come una belva. In genere non attacca l'uomo. Può succedere che l'orso assalga l'uomo, ma può succedere anche, e più di frequente, che l'uomo assalga l'uomo. Ci si scandalizza, comprensibilmente, quando un cane mangia la faccia del suo "padrone" o morde una bambina. Ma non si pensa invece  quanti assassinii e quanta violenza  capitino nelle migliori famiglie degli "umani".

La cosa interessante è che l'orso "socievole" non è l'orso asservito, ma l'animale in simbiosi con l'uomo. Oppure, semplicemente osservato dall'uomo nella sua "privacy" all'aperto. Sono anni che facebook ci abitua a filmati idialliaci, quasi apocalittici, in cui si vedono tigri che fraternizzano con uomini, topi e gatti affezionati fra loro, orsi che salutano, si siedono a un tavolo o suonano la tromba o giocano con i loro "amici" umani, o istruttori che siano.

D'altra parte, l'orso è anche  un pericolo antico, e in questo senso si prega di esserne protetti nella preghiera tibetana. La cosa triste è che, proprio l'Orso del Tibet, o dal collare, o della luna, viene perseguitato da secoli, e tuttora, per ricavare una specie di farmaco dalla sua bile. L'Orso, in alcuni miti, nelle favole e nelle mitologie dei peluche infantili, fino ai film fantasy, è da sempre un animale amico e collaboratore fra l'uomo e le forze cosmiche.

 

"Dremong" contiene qualcosa di antico (influenze medievali, per esempio) e qualcosa di ultra moderno (vi è perfino un accenno di rap nella canzone "Sestriere del molo"). Molte le contaminazioni attinte anche dalla musica folk internazionale. Come convivono anime tanto diverse nello stesso album?

"Il mio nome è legione", come s'intitola un libro fortunato, da cui sono stati tratti vari film, e come si legge nel Vangelo. Il mio album è una legione musicale, però di soldati disertori, viaggianti, ambulanti, che raccolgono da ogni riva del mare risacca musicale, e polvere musicale da tante strade diverse, e se le cantano e suonano nelle taverne di confine, ma anche nel chiuso di celle, case, o nelle discariche sotto il cielo delle periferie, o nei garage delle band di rock. E diverse anime, anche musicali, convivono nello stesso pezzo.

I testi di questo tuo nuovo progetto sono in alcuni casi aspri ma sempre intensi e, soprattutto, analizzano alcuni spigoli della nostra società, del nostro vivere quotidiano. E' cambiato il nostro modo di vivere e di percepire gli avvenimenti (complice la crisi). Cosa è cambiato nel tuo modo di comporre, di scrivere?

Il mio modo di scrivere testi, come anche di comporre musiche, cambia continuamente e continuamente si assesta. Alcune delle canzoni di Dremong, magari quelle che sembrano più "nuove", provengono da materiale di decenni e decenni fa, come dico io possono datarsi col Carbonio 14! L'artigianato della canzone somiglia forse a quello dei vetrai o dei vasai. C'è il fuoco, c'è un magma, c'è l'abilità di ottenere accurate cristallizzazioni, concrezioni. E poi, rifiniture. E' normale che uno possa aver detto trent'anni o vent'anni fa cose che adesso paiono attagliarsi perfettamente al tempo attuale. E' anche vero che uso, nelle mie canzoni, allegorie e riferimenti cifrati, e quindi la "verità" e l'urgenza che ne possono scaturire sono simili ad un procedimento divinatorio, all'interpretazione dei Tarocchi, dell'I Ching o di altre forme di "manzìa",  lettura acuta  dei semi del presente o azzardo di preveggenza.   

 

Nel disco vi è un brano a cui sei particolarmente legato o che più ti rappresenta e perché?

Non essendoci un sicuro "io" a cui fare riferimento, direi che tutte le canzoni, a vario titolo, "mi" configurano. Sono legato a tutti i brani, per vari motivi, vari periodi e varie esperienze. Il cantautore ha questo vantaggio, se è un vantaggio: non si sente rappresentato, nelle stazioni della sua vita, solo dalle canzoni degli altri, delle varie epoche. tappe  della storia e dell'  esistenza, ma anche e soprattutto dalle sue stesse. Le canzoni sono come finestre da cui l'autore osserva anche il suo paesaggio interiore, la cosiddetta "vista imprendibiile" di certi annunci immobiliari involontariamente surreali. "Davvero ero così, davvero vedevo e sentivo  queste cose"? E passa a un'altra finestra.

Dremong parla anche della miseria, ma non vuole farlo con strumenti miseri. E' come una grande cena preparata con tante portate. Forse ci si vendica così, un po' romanticamente, della miseria reale; che pure traspare in filigrana fra le sontuose proiezioni. come un lenzuolo liso e strappato dove si proiettano i vetrini di una lanterna magica.

C'è chi dice che il tuo album sia di difficile ascolto: per parafrasare una vecchia pubblicità di una nota marca di spumante si potrebbe quasi dire che l' album è "per molti ma non per tutti". Non hai mai rincorso le masse. Le tue canzoni sono per "intenditori", un po' come l'ottimo vino. Ti sei mai pentito di questo?

No, perché non è mai stata una mia scelta. Posso lamentarmene, quindi, ma non pentirmene.  Mi conforta invece che le mie canzoni piacciono, e danno emozioni, a ogni tipo di persona, indipendentemente dall'età, dalla cultura o dal ceto sociale, in una parola, indipendentemente dal "target". Questo sottrarre il rituale   dalla magia nera pubblicitaria e totalitaria, mi piace molto. Per citare una epigrafe di Nietzsche, da cui forse ha preso anche lo slogan che citi, le (mie) canzoni sono  "per tutti e per nessuno". Forse la quantità degli ascoltatori ne risente sfavorevolmente, ma di sicuro se ne avvantaggia la qualità. Ma ripeto, non è una scelta, è che oggi chiunque osi utilizzare il vocabolario viene tacciato di "trobar clus", di composizione oscura e poco comprensibile (questa sì, era una scelta, una  strategia lirica  di alcuni poeti medievali).

 

Eppure c'è ancora chi ricerca il successo con la popolarità di massa (qualche anno fa si utilizzava il termine "nazionalpopolare"), quindi con progetti mediocri. Qual è il tuo pensiero sulla produzione discografica italiana degli ultimi anni?

E' un colabrodo. Dal momento che i dischi non vendono più che cifre irrisorie, le produzioni forti cercano, attraverso il gioco delle tre tavolette dei talent show televisivi, di raccogliere un po' di soldi dalla Siae e dal denaro pubblico di assessori alla cultura incauti e incompetenti. E' un gioco fra media, produzioni ed edizioni. Magia nera. Abboccano, per un poco, i meno dotati di anticorpi. 

Alcuni  prodotti vengono imposti, altri vengono boicottati automaticamente,  e quelli che erano una volta strumenti di diffusione sono diventati strumenti impliciti di censura.

Cosa resterà della musica di oggi, fra qualche anno?

Tutto resterà "in memoria", perché la rete è una memoria immensa. Poi, certe canzoni rimarranno anche nella memoria affettiva, di molti o di pochi. Nel mio piccolo vedo come tanta gente conosce e riconosce, fino a cantarle timidamente con me durante i molti piccoli concerti che faccio, anche le canzoni dei miei primi dischi. Forse qualcuno le ha sentite da dischi fortunosamente reperiti o comprati, ma sicuramente molto è avvenuto attraverso la diffusione epidemica della rete.

Se avessi quest'assillo del "non morirò del tutto, qualcosa resterà di me" - e ne sono del tutto lontano - potrei pensare che i figli di alcuni faranno ascoltare certe mie canzoni ai loro figli, come del resto è avvenuto, in grande, con alcuni cantanti ed autori molto noti, da Battisti, a De André. a Guccini (per rimanere in Italia).

Dico che una canzone non muore mai, tutt'al più si liofilizza, come certe civiltà sepolte che attendono le ruspe e le scavatrici che le rinvengano, magari corredate di faraoniche magie, vampiri e maledizioni, come successe per le tombe egizie sul finire dell'Ottocento, e i musei che le cataloghino.

E della musica di Max Manfredi?

Ti ho già risposto. Le canzoni sono indistruttibili, oblique rispetto al tempo, e hanno due case almeno, dove abitare: la memoria affettiva della gente comune o nota, e il domestico Olimpo che spetta alle cose belle, cioè che rendono bellezza, passione e quasi  serenità anche al disagio e alla sofferenza. E' quella che una volta veniva chiamata "catarsi". La canzone, come tutte le arti, è apollinea e dionisiaca. E' danza, formulazione di pensiero, abbandono alle immagini e ai suoni. Purtroppo oggi è anche, necessariamente, inquinamento acustico. E' per questo che ostinarsi a far canzoni di buona volontà, canzoni libere e sole, canzoni che possono accompagnarti e accompagnare, acquista persino un senso etico, sia pure tutto autonomo da qualsiasi pretesa morale. (foto di Manuel Garibaldi. La copertina di "Dremong" disegnata da Ugo Nespolo)

 

www.maxmanfredi.com

 

 

(Marzo 2015)